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Nasce LAIKÒS 2008, un movimento popolare per

 

“ ..la testimonianza e la collaborazione di fedeli laici nelle più diverse situazioni in cui sono in gioco l’autentica qualità umana della vita nella società. In particolar modo ribadisco la necessità e l’urgenza della formazione evangelica e dell’accompagnamento pastorale di una nuova generazione di cattolici impegnati nella politica … ”.

 

15 Novembre 2008

 Città del Vaticano

 

Papa Benedetto XVI

 

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Nell'incontro si evidenzia subito come in questi ultimi trenta anni ci si sia progressivamente dimenticati della storia bella dell'Italia popolare dal Dopoguerra alla fine degli anni Ottanta. Soprattutto il mondo cattolico si è progressivamente impoverito lasciando seccare le proprie radici che alimentavano l'impegno socio-politico. Con la fine della lezione degasperiana e della storia dei grandi partiti popolari, sempre più la scena politica è stata animata da contenitori elettorali privi di contenuti. Anche qui le soluzioni proposte sono agitate dal buon senso: ripartire dal basso costruendo un tessuto di azione popolare con tanta pazienza e micidiale passione; lo sbocco categorico è quello di un vero partito democratico con aderenti e congressi che garantisca la scelta della classe dirigente senza nomine dall'alto.

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Col segretario regionale della Cisl Marche e il responsabile formazione di Confartigianato Imprese Marche Sud, Laikos 2008 ha cercato di offrire risposte ad una questione nuova per l'italia: la mancanza di lavoratori. Quattro sono i nemici della mancanza di lavoro. Il primo la crisi demografica che l'immigrazione, genericamente intesa, non potrà mai risolvere. Il secondo è la diffusa mentalità del valore assoluto del posto fisso che anche un recente film di Checco Zalone ha evidenziato in modo sublime. Il terzo nemico è un mito largamente diffuso nel sud Italia della laurea quale strumento sociale per emergere ed elevarsi, senza tener conto che se questa è di tipo umanistico o giuridico/economico spesso non serve a nulla. Quarto punto, la scuola che non prepara ai nuovi mestieri e alle professioni tecnico scientifiche. La tavola rotonda e il dibattito ha cercato di far emergere altrettante soluzioni. Affidare alle Regioni e non allo Stato l'istituzione, la programmazione e la gestione degli istituti e scuole professionali.
Pur nella necessaria tutela dei lavoratori, affidarsi a meccanismi più elastici nella contrattazione del lavoro. I profitti delle aziende di questi ultimi dieci anni sono andati per più dell'80% a favore dei proprietari, lasciando pochissimo per l'aumento delle retribuzioni; in Germania, dove sono emigrati centinaia di migliaia di giovani diplomati italiani è successo esattamente il contrario. La quasi totalità dei profitti nelle buste paga dei lavoratori e molto poco ad ingrassare i già cospicui guadagni degli azionisti.
La formazione per i nuovi mestieri sostenuta dalle stesse imprese attraverso scuole non statali con il contributo delle istituzioni pubbliche locali e nazionali.

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L'idea che il capitalismo sia profondamente in crisi e che veda scoppiare al suo interno sempre più profonde contraddizioni non è nuova: troppo capitalismo produce troppo pochi capitalisti finendo quindi con l'impoverire la classe imprenditoriale e lo spirito che la anima, cioè il rischio d'impresa.
L'incontro svolto da Laikos 2008 a Corridonia ha evidenziato in modo efficace la fine del mito della felicità legato all'espansione esponenziale della ricchezza secondo i principi del capitalismo anglosassone.
Due i grandi limiti: l'eccesso di consumismo e la scarsa distribuzione della ricchezza. L'eccesso di consumismo non produce felicità ma lavoratori esasperati nell'esigenza del guadagno e quindi dell'eccesso di lavoro e di competizione da sfogare nei fine settimana in un contesto di sempre maggiore alienazione prodotta da altre cose che vengono acquistate grazie al lavoro (alcol, droga, comportamenti estremi). L'altro elemento è quello della necessità di massima distribuzione della proprietà: il capitalismo invece concentra la proprietà in poche persone rendendo il resto della massa un anonimo proletariato di lusso. L'idea di creare un popolo di proprietari è stato il fondamento delle politiche economiche italiane, ed europee in parte, del dopoguerra: il salariato agricolo che diventa mezzadro e poi coltivatore diretto, quindi proprietario della propria casa e del fondo che coltiva. L'operaio che diventa collaboratore dell'imprenditore artigiano, artigiano egli stesso, imprenditore piccolo e medio di aziende di una certa importanza. E' indubbio che chi è proprietario di qualcosa è più libero di chi non ha nulla, oltre al fatto che si sente più radicato nel proprio territorio e nella società in cui vive, diventandone difensore dei principi su cui si fonda.

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L'incontro ha avuto a tema una rivisitazione della storia del popolarismo cattolico fondato sul primato della persona umana a partire dalla figura del fondatore del partito popolare italiano Don Luigi Sturzo.
Si è messa a confronto questa storia con i nuovi populismi di destra e di sinistra figli striscianti e un poco stanchi delle grandi vecchie ideologie massimaliste del Novecento che hanno prodotto le dittature comuniste del socialismo reale e quelle nazionaliste del fascismo. Il populismo offre sempre soluzioni facili ed immediate che si rivelano però, presto o tardi, profondamente illusorie e, peggio ancora, più costose da un punto di vista sociale ed economico dei problemi che dice di risolvere (es: certo ambientalismo per ricchi con soluzioni buone solo per i paesi occidentali, o l'inutile tentativo di respingere i profughi quando in Europa mancano circa 30 milioni di lavoratori; per non parlare della scarsa solidarietà fra i governi destrosi quando si tratta di aiutare ad esempio l'Italia nell'accoglienza che trova la più dura opposizione proprio nei governi ungherese e polacco). Il popolarismo invece si fonda sul realismo cristiano che risolve sempre le cose con grande buonsenso, senza condizionamenti ideologici e per questo capaci di tener conto della sensibilità di tutti ottenendo così, per le soluzioni adottate, il massimo del consenso, nella logica del bene di tutti o del cosiddetto "bene comune". Il dibattito seguito alla relazione del prof. Nazzareno Morresi con la partecipazione di esponenti di Lega, Fratelli d'Italia e UdC, ha evidenziato una discreta evoluzione degli attuali populismi verso posizioni più moderate e legate all'ispirazione del popolarismo europeo, soprattutto quando codesti partiti sovranisti approcciano l'attività di governo.

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