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L'integrazione e il coraggio di andare alle radici della nostra civiltà

Dare il titolo alla pagina che non si è ancora scritto non è facile, ma questo chiede il mio vecchio computer. Poveretto sono la sua unica compagnia, non sempre simpatica per lui perché lascio a metà i miei appunti, confondendoli con i ricordi. Poi all'improvviso li cancello, rileggendoli non mi piacciono più. Sembra facile scrivere di se stessi, ma quando si incomincia a rileggerne le righe si vorrebbe cancellare tutto perché la verità che ha un suo colore, ride quando ti allontani per essere bene accetto da chi leggerà. Questo avviene, mi pare, anche quando descrivi un fatto realmente avvenuto e, almeno che non sia cronaca, ti accorgi, nel rileggerlo che la verità era un'altra. Che i pensieri, le sofferenze, la paura non sono tue, ma di altri e che le parole sulla carta non danno il dolore della bruciatura del fuoco, né la realtà del dolore. Quando un giorno della settimana appena passata i camion sulla strada incominciavano a bruciare, c'era chi accorreva a fotografare la grandezza dell'incidente senza pensare agli autisti che perdevano la vita. Il fuoco ha fatto poi la sua via crudele. Penso ai giornalisti che hanno il coraggio di condividere le verità delle guerre, delle rivolte di popoli oppressi, di avventure pericolose legate al coraggio per dare a noi la sensazione che quello che viene scritto è la verità, a volte per dare un brivido maggiore a chi ascolta distratto e chiude quella trasmissione per cercare un canale televisivo che più lo interessa. Come è strano il mondo che divide chi soffre da chi è felice usando le distanze, il modo di vivere diverso, le lingue differenti, anche oggi quando le notizie arrivano con velocità in ogni luogo, l'animo umano soffre di più per chi vive lo stesso tipo di vita, di costumi e ne condivide le abitudini e le speranze. Quel popolo di pelle scura che lavora per noi, sulla nostra terra perché la frutta e la verdura arrivi veloce sulle nostre tavole, mentre la loro vita assomiglia alla schiavitù del XIX secolo, forse incomincia ad avere voce se noi stessi apriamo gli occhi su questa feroce verità che abbiamo lasciato crescere senza parlarne mai. Non sarà facile cambiare le abitudini di chi ha in mano le sorti di questa gente che fuggendo dal proprio Paese aveva sognato pace, lavoro e vita invece di schiavitù e povertà. Anche la nostra Europa, descritta sui nostri libri

«culla della civiltà» si scopre con l'andare degli anni ancora incerta sulla vera giustizia, sulla seria pietà, sulla condivisione del dolore, su una reale collaborazione sognata e sperata alla fine della nostra ultima guerra. La strada verso una comune giustizia è anche per i nostri popoli ancora faticosa e difficile. Ha bisogno di uomini di coraggio e di fiducia, di capacità di chiedere a tutti sacrifici e non solo promesse di vantaggi, perché la pace e la collaborazione ci chiederanno sempre di saper affrontare assieme ogni problema senza la ricerca di singoli vantaggi. Bisogna riprendere il cammino condiviso dai "grandi" dell'Europa unita se vogliamo tenere aperte ai nostri figli le strade comuni di libertà, di giustizia e di quel senso di fraternità che è naturale nell'uomo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA AVVENIRE.IT


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